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quattro appunti di fine estate 2000 - On cartooning

Su Sinatra...

La storia nasce a Tokyo, mi trovavo laggiù da quattro mesi per un premio della Kodansha, e avevo finito una storia lunga. Si trattava di Yuri, il primo libro a colori, pubblicato sulle pagine della rivista Comic Morning e poi in volume. Avevo lavorato sodo e volevo riposarmi ma sentivo la voglia, allo stesso tempo, di immergermi nelle atmosfere di una storia nuova, diversa dalla precedente. Così, senza quasi accorgermene, ripresi a lavorare. In genere, nel mio approccio, mi concentro sulla struttura, sullo scheletro del racconto. Insomma i dialoghi vengono scritti e riscritti, in diverse stesure successive. Poi si lavora sul versante visivo di questa struttura, lo storyboard, e anche questo ha diverse versioni prima di arrivare al ritmo definitivo. Il tempo è un ingrediente importante. Scrivo o disegno e poi lascio riposare, ho bisogno di vedere la cosa con distacco per capire se mi piace davvero o se l'impasto narrativo, per usare una metafora culinaria, ha bisogno di altra cura. Questo per dire che il fumetto, per me, è un linguaggio che utilizza la tecnica del filtraggio, sino a giungere alle suggestioni più pure, più intime. In genere parto da una intuizione, una specie di suggestione, delle atmosfere in pratica. Poi seguono i dialoghi, che in qualche modo scolpiscono i personaggi, ne creano le dinamiche. Sinatra invece era una storia che cominciai pensando ai silenzi, semplicemente non c'era testo, si sviluppava seguendo un ritmo visivo che era, nelle mie intenzioni, una specie di scrittura base del fumetto. Una sintesi del linguaggio, vignetta dopo vignetta, dettata dal ritmo stesso del racconto. Desideravo soffermarmi sulle attese, sulle pause narrative. Anche se mi trovavo in Giappone e stavo lavorando per il florido mercato del manga pensavo con un senso di nostalgia all'Europa. Ecco, in un certo senso, nella mia testa questa storia era il trait d'union con la mia cultura di provenienza, un ritorno a casa insomma. Pensavo di pubblicare questa storia in Europa.

Se analizziamo il lavoro di tutti questi anni balzerà all'occhio come per me ogni storia abbia una sua tecnica specifica. Tanto che tra Brillo, Amore o Sinatra ci sono elementi esteriori, tecniche di realizzazione, approcci insomma, radicalmente diversi. Così mentre Yuri, il libro che avevo appena terminato per il Sol Levante era tutto disegnato con la linea i primi disegni di questa storia, che ancora doveva prendere corpo e avere un nome, erano scuri e disegnati con le macchie. Pensavo in termini di impressionismo, per come la luce determina le forme. L'uso dei chiaroscuri era importante per creare la suggestione. Erano luci tagliate, molto violente, che venivano dai film che avevo visto e rivisto quando ero bambino e che mi avrebbero fatto capire che tra Taxi driver di Scorsese e la pittura di Renoir fatta di macchie di colore e luci c'era più di una analogia.

La copertina dell'edizione francese © Igort, Cornelius
Le tavole che sarebbero poi diventate il cuore di questo libro, di Sinatra, furono l'inizio di una storia nera, che andavo scoprendo mentre disegnavo. Il motto era: "Non stare a cesellare". Mi interessava un disegno nudo e diretto che riuscisse a evitare certi narcisismi così comuni a tanti disegnatori occidentali. Dal manga avevo imparato che l'immediatezza o la potenza espressiva non hanno a che vedere con lo sfoggio di tecnica. Così mentre vedevo il giardinetto giapponese con i suoi pruni che fiorivano fuori dalla finestra nel mio appartamento di Sendagi passavo le notti in bianco, musica in cuffia a tutto volume, per inseguire le forme di questa storia dal tono quasi disperato. Era la primavera del 1994.

In principio la storia aveva una struttura diversa, più articolata, solo in un secondo momento arrivai a concepire una vicenda concentrata, un fatto guardato con la lente di ingrandimento: teso a raccontare un frammento, una storia piccola.

Stando in Giappone era possibile vedere l'Italia e l'Europa da lontano, capire come ci vedevano gli altri per esempio. E io mi interrogavo su cosa sarebbe stato interessante raccontare. All'epoca non immaginavo di ambientare la vicenda a New York, ma ero comunque deciso a utilizzare un personaggio italiano.

Si sono succeduti altri lavori e la vicenda di queste pagine si è trasformata in un lungo racconto a fumetti tuttora in lavorazione, "Cinque è il numero perfetto".

Poi ho incontrato un editore francese, un matto che editava oltralpe i libri di Mazzucchelli o Daniel Clowes realizzando edizioni magnifiche, spesso con le copertine stampate in serigrafia. Questo incontro, così immediato ed entusiasta, mi ha fatto venire voglia di riprendere in mano il racconto incominciato a Tokyo anni prima. Ma ancora non pensavo a un libro di novantasei pagine. Le varie forme si sono succedute, Stefano Benni e Carlo Marulli mi chiesero se avevo un fumetto per il loro "Albo avventura" e così ripresi in mano la storia per darle una forma leggibile, farla uscire insomma dallo stato larvale nel quale riposava da anni. Fu una cosa breve, dal titolo Johnny. 32 pagine senza un solo dialogo. Mi piaceva molto lavorare con tutte quelle scene mute. Marulli constatò: "è come un film".

Era sempre più chiara, nella mia testa, l'idea di un disegno semplice, l'ingrediente di base di una scrittura che potesse mettere le basi di una possibile continuità. un libro dopo l'altro, come fa Woody Allen con i suoi film; una specie di appuntamento stagionale che permette di ritrovare gli amici, il suo pubblico, cui racconta le storie con un tono di voce speciale e tranquillo, più o meno drammatico, ma tutt'altro che sensazionalista.
Ecco questo è il primo passo. Sinatra rappresenta, per me, una sorta di rinascita: il primo appuntamento con un pubblico vecchio e nuovo che spero di ritrovare sempre più di frequente. E che ringrazio per il suo affetto e il tempo che mi dedica.

estate 2000