Mentre disegno la storia scritta da Carlos Sampayo, per un paio di ore mi metto a buttare giù degli schizzi ad acquerello. Sono appunti visivi, spunti di storie possibili, situazioni. Una storia, dalla mia testa, nasce sempre in questo modo.

Immagino un detective irlandese un poco grosso e goffo, che incontra una donna ironica e intelligente. Lei è una nudista, e si diverte a metterlo in imbarazzo. Siamo negli anni trenta; penso a Zelda Fitzgerald e a un mondo fatuo ed evanescente.

Man mano che procedo le forme si definiscono, non mi importa che il disegno sia bello, palstico o elegante. Siamo in una fase ruvida, in cui l'improvvisiazione vale più del risultato finito.

Fare questi disegni è un poco come pescare nella memoria, ci si depositano dentro tante di quelle suggestioni. Disegnare veloce permette di scavalcare un livello cosciente che in fondo fa da dogana. Lascia passare solo determinate cose e le altre rimangono dentro di noi per sempre, senza che ce ne accorgiamo.

"Disegnare in fondo significa restituire qualcosa o parte di qualcosa che abbiamo visto e digerito". Questa cosa la diceva Giorgio Carpinteri nel 1980, l'ho sempre condivisa. Man mano che leggo un libro, è come una bottiglia che si riempie e poi, naturalmente, mi ritrovo a scrivere, raccontare storie. Si finisce per essere influenzati da tutto, le cose che si leggono, le cose che si vedono gli incontri che si fanno.

Naturalmente serve una fase "critica" per vagliare e scartare. Ma questa arriva in un secondo momento, dopo la prima stesura. L'importante è, secondo me, riuscire ad ascoltarsi. E, negli incontri con il lettore, sapere ascoltare gli altri.

Mentre viaggio nella metropolitana a Parigi mi accordo di essere molto preso a osservare i neri che salgono o scendono a Chateau Rouge. mi interessa tutto di loro, il modo di muoversi, di parlare, quella maniera giocosa che hanno quando si trovano tra donne. Cerco di cogliere il più possibile ma devo ancora riuscire a raccontare tutto questo.